PROGRAMMA ELETTORALE
Progamma amministrativo del candidato Angelo Moretti e della lista Altra Benevento è possibile – Senso Civico
Premessa generale – Lo scenario Globale ed i nostri obiettivi per la città di Benevento
La Coalizione ArCo, Artefici di Comunità, intende portare alla competizione elettorale la sua ventata di freschezza e di spirito rivoluzionario ecologista, basando il suo impegno politico sugli insegnamenti dell’Ecologia Integrale di Papa Francesco e sull’Agenda 2030 dell’Onu per lo sviluppo sostenibile.
ArCo propone alla città un programma politico centrato sulle relazioni umane e di prossimità, che ricostruisca quella città a misura di uomo e di donna di cui scriveva Lazzati. Per Lazzati la città dell’uomo non è né una città cristiana da interpretare secondo i criteri della cristianità, né una città totalmente separata dalla fede e dalla religiosità ma è una realtà che chiede dai suoi abitanti l’impegno alla costruzione della città “a misura” d’uomo. Per raggiungere la dimensione umana dell’abitare non bisogna fare altro che costruire una città secondo il piano della vocazione dei suoi abitanti e del suo genius loci, soprattutto attraverso l’azione ed il pensare politicamente.
La nostra priorità condivisa è una: invertire i dati dell’abbandono ambientale, della povertà e dell’esclusione sociale attraverso un lavoro profondo di rigenerazione urbana orientato a nuovi modelli di sviluppo che siano in linea con i 17 obiettivi dell’Agenda 2030.
La città che desideriamo si basa solo sulla volontà delle forze civiche e politiche che desiderano il Cambiamento reale dello stato delle cose.
Vogliamo che Benevento abbia una politica ecologica ispirata alla OneHealth, il nuovo concetto unitario di salute che abbraccia tutte le condizioni ambientali, personali e relazionali di un luogo; vogliamo che Benevento riparta dalla cultura del “luogo”, dalla rigenerazione dei quartieri e delle contrade;
Vogliamo che Benevento riparta dalla valorizzazione e conservazione dei suoi beni pubblici, dalla vivibilità e pulizia suoi quartieri, dai suoi fiumi, dal suo immenso patrimonio paesaggistico e storico-archeologico;
Vogliamo che Benevento riparta dal lavoro, dalle imprese innovative ed intelligenti, capaci non solo di fermare la migrazione giovanile ma di diventare fattore di attrazione per altri giovani; imprese improntate ai criteri dell’economia civile e dell’economia circolare, capaci di ridurre gli impatti ambientali al minimo e di includere anche le fasce più disagiate della popolazione e non solamente le persone altamente qualificate;
Vogliamo che Benevento riparta dalle famiglie, dalla valorizzazione e protezione dei suoi nuclei familiari, per scongiurare l’esasperazione dovuta alla precarizzazione delle vite ed all’impossibilità frustrante per i giovani beneventani di “metter su” famiglia per mancanza di chance;
Vogliamo che Benevento riparta dalla sua Università e dal suo patrimonio scolastico, non sarà più possibile far vivere separati i piani strategici dell’amministrazione comunale ed i piani dell’offerta formativa dell’Università degli Studi del Sannio, per il futuro dobbiamo fare matching tra politiche giovanili e terza missione universitaria, fare matching tra sistemi locali del lavoro ed i saperi accademici, tra le scuole e l’UniSannio per la crescita culturale e professionale del nostro capitale umano, perché nessuno resti escluso dalla formazione adulta; vogliamo ridurre i numeri drammatici della povertà educativa e degli abbandoni scolastici attraverso i Patti Educativi di Comunità; vogliamo ripartire dall’educazione fisica e dall’educazione civica perchè le scuole siano fucine del benessere e del benvivere per tutti i loro studenti e le loro studentesse.
Vogliamo che Benevento riparta dalle sue donne, dal valore straordinario che ha il pensiero femminile in economia, nella cura della città, nella rigenerazione di sistemi emancipanti di welfare, nella organizzazione del lavoro e dei sistemi di conciliazione dei tempi di vita.
Vogliamo che Benevento riparta dal suo welfare perché diventi Welcome, un asse di sviluppo, una leva rigenerante del legame sociale, un investimento pubblico sulla salute e sul benvivere e non solo una spesa sociale contro le disuguaglianze dovute al reddito, alla disoccupazione ed alle malattie.
Vogliamo che Benevento abbia davvero un’acqua pubblica e di qualità per tutti, sottraendo l’acqua alla speculazione finanziaria e garantendo gli stessi livelli di potabilità a tutti i cittadini beneventani, perché diminuisca drasticamente l’uso della plastica e sia garantito un diritto inviolabile dell’umanità, a partire dalla nostra città verso il pianeta intero: l’accesso all’acqua per tutte e tutti.
Vogliamo che Benevento riparta dalla sua centralità in Italia e nel mezzogiorno, asse di collegamento tra Napoli e Bari, tra il Lazio ed il mezzogiorno, tra le aree interne e le aree costiere, che riparta dai trasporti lenti e veloci, dall’Alta Capacità/Velocità che la ricongiunge al Paese alla riscoperta e valorizzazione della via Francigena, della via Micaelica e dei corridoi ciclistici europei. Vogliamo che Benevento rilanci il suo turismo rurale e di città d’arte e di storia.
Vogliamo che Benevento riparta dalla legalità e dalla lotta al malaffar, per scongiurare le speculazioni edilizie, le infiltrazioni malavitose nella gestione della cosa pubblica ed i sistemi della corruzione clientelare.
Vogliamo che Benevento riparta dalla cura della sua infanzia e dall’accoglienza di nuovi popoli, perché non ci può essere futuro in comunità che sono chiuse alla vita; Benevento deve puntare sull’incentivo alle nuove natalità e sul rendere fertile e generativo il sistema di accoglienza per giovani che vengono dal Sud del mondo e che qui trovano riparo e futuro, è in questa doppia accoglienza della vita che si rigenera il patto sociale tra i cittadini, che si ridà speranza alle nuove generazioni, che ci guadagniamo il nostro posto nel terzo millennio.
I nostri fondamenti culturali e la nostra vision
Contributo numero 1. Il manifesto per una citta accogliente e sostenibile, di Leonardo Becchetti
ll futuro arriva sempre più velocemente. Possiamo volgerlo a nostro vantaggio oppure esserne travolti.
La città di Benevento, i suoi cittadini e l’Amministrazione devono riuscire ad intercettare le enormi opportunità che il futuro ci offre, salutando definitivamente un passato che non è più in grado di leggere il nuovo che sta arrivando.
Una politica davvero al passo con le sfide del dopo-pandemia, della crisi economica, delle grandi migrazioni e del cambiamento climatico deve abbandonare ogni indugio e puntare all’obiettivo ambizioso di costruire società generative, creando le condizioni per la soddisfazione e la ricchezza di senso di vita delle persone.
Ma dobbiamo affidarci a persone che vedono il futuro, che hanno competenze nuove e idee chiare, che conoscono la strada perché hanno scelta di praticarla nella quotidianità.
Con Next Generation EU – il piano Marshall della nostra generazione – e tutti gli altri fondi europei e nazionali, arriveranno ingenti risorse che puntano su transizione ecologica, digitalizzazione, formazione, istruzione e ricerca ed inclusione sociale.
Abbiamo a disposizione tecnologie e risorse finanziarie sempre maggiori che non porteranno però alcun frutto se non sappiamo investire sulle persone.
L’esperienza di questi anni del movimento dell’Economia civile a livello nazionale ed internazionale ci offre una ricca serie di buone pratiche che possiamo e dobbiamo portare nelle città, a partire da questo piccolo centro del Mezzogiorno, a partire da Benevento.
Il metodo da seguire è un percorso di co-programmazione e co-progettazione, dove amministratori, imprese, organizzazioni della società civile e cittadini camminano insieme.
È finita l’era degli uomini soli al comando che, per quanto di esperienza e di ottime intenzioni, non potranno mai da soli avere più conoscenze, informazioni, esperienze e capacità di lettura della realtà di reti “generative” di cittadini. La partecipazione è un grande valore ma va strutturata ed organizzata.
Solo nuove politiche economiche che siano collegate al sociale e all’ambiente consentiranno di avviare un percorso di crescita e creazione di posti di lavoro.
Come ha fatto rilevare uno degli ultimi dossier di Symbola, le imprese “coesive” presenti in ogni settore ed attività economica, maestre nell’arte delle relazioni e della sostenibilità, sono più resilienti, più proiettate sui mercati internazionali e rappresentano la spina dorsale del paese.
Per Benevento la rivoluzione gentile del futuro prossimo significa:
- investire sulla mobilità sostenibile
- avviare comunità energetiche di reti di condomini o imprese che diventano produttori/consumatori di energia e invece di pagare bollette accumulano reddito energetico
- costruire nuove forme collaborative tra Amministrazione Locale ed Enti di Terzo settore che sappiano non solo rispondere alle emergenze, ma progettare un modello di welfare fondato sulla relazione di cura che previene le ferite sociali della città
- essere Welcome, essere una comunità capace di diventare accogliente per tutti, attrarre nuove residenzialità, ascoltare ed accompagnare i progetti di vita
- promuovere con forza i sistemi orientati alla legalità e all’organizzazione burocratica efficiente per contrastare le logiche clientelari del potere
- leggere il nostro genius loci, valorizzando le nostre ricchezze storiche, artistiche, culturali, paesaggistiche ed enogastromiche, un patrimonio straordinario capace di creare coesione sociale e posti di lavoro per il territorio
È possibile anche a Benevento intercettare il meglio del futuro che arriva se ci muoviamo sul sentiero che tiene assieme crescita, posti di lavoro, sostenibilità ambientale, dignità della persona, generatività, soddisfazione e ricchezza di senso di vita.
Con la scelta di una classe politica nuova, Benevento potrebbe diventare un laboratorio nazionale di una politica orientata alla ecologia integrale e ad un’economia a misura d’uomo.
Contributo numero 2. Sviluppo Economico, Pandemia, Aree Interne, di Giuseppe Marotta
- PREMESSA
I diversi documenti che compongono il position paper di “Civico 22” e della intera coalizione ArCo, pur assumendo come riferimento la città di Benevento e il territorio delle aree interne, presentano contenuti che contribuiscono efficacemente anche al dibattito più generale relativo alla crisi del modello di sviluppo prevalso negli ultimi decenni e alle possibili vie di uscita. Si parte, in sostanza, dalle rallentate dinamiche di sviluppo delle realtà interne per allargare lo sguardo alle questioni più generali dell’economia e della società, in questa difficile fase della storia del nostro paese.
In questa sintetica nota, si cercherà di seguire lo stesso approccio ovvero, partendo dal quadro dei ritardi dei territori interni, si delineeranno spunti di riflessione in riferimento a tematiche più generali inerenti la crisi di sistema dell’economia e della società e le possibili visioni alternative dello sviluppo umano e dei territori, con la consapevolezza che la discussione sul superamento della crisi non può non affrontare anche il tema di una lettura territoriale delle dinamiche delle sviluppo. In altri termini, la necessaria transizione verso un nuovo modello di economia e di società non può essere trattata solo in un’ottica verticale, connessa ai diversi settori dell’economia e/o agli ambiti sociali canonici, ma va inquadrata in un’ottica territoriale, ovvero di inclusione di tutte quelle realtà spaziali, oggi escluse, in una nuova visione dello sviluppo, altrimenti si corre il rischio di cambiare modello ma di non risolvere alcuni problemi storici del nostro paese, quali le disuguaglianze e le disparità territoriali che continuerebbero a connotare come insostenibili le dinamiche economico-sociali, ambientali e territoriali.
I ritardi di sviluppo del Sannio, e delle aree interne, conseguenti al continuo depauperamento delle risorse, subito dal dopoguerra e tutt’ora in corso, hanno determinato gravi fenomeni di spopolamento, di invecchiamento della popolazione, di desertificazione economica, di carenza di servizi e di infrastrutture. In tale contesto, la scuola e l’Università rappresentano i principali baluardi di sostenibilità e di resilienza. Nel quadro della profonda e lunga crisi strutturale che ha investito, e sta investendo, l’economia e la società italiane, i ritardi di queste aree assumono connotati ancora più gravi e preoccupanti, risultando oggettivamente di non facile soluzione e costituendo, quindi, dei vincoli strutturali che impediscono percorsi capaci di creare le condizioni per una efficace inversione di tendenza delle dinamiche regressive in atto.
Con questa consapevolezza, si cercherà, in questa sede, di trattare il tema dello sviluppo di queste aree agganciandolo agli scenari di cambiamento che si vanno prefigurando in questi ultimi anni, grazie soprattutto alla spinta politica proveniente dalle istituzioni sovranazionali. Il riferimento è all’azione dell’ONU, che ha adottato i 17 obiettivi verso cui far convergere il cambiamento dell’economia e della società, e all’Unione Europea che ha tempestivamente accolto lo stimolo al cambiamento adottando il “Green Deal”, una strategia globale, posta a base della fase di programmazione 2021-2027, orientata ad un’economia europea a emissioni zero entro il 2050. In ambito nazionale, si segnala l’iniziativa delle Università, nota come il manifesto di Udine-G7 Università, nel quale si identifica la promozione di una cultura più ampia della sostenibilità economica, sociale e ambientale quale una delle quattro priorità su cui le Università sono chiamate a dare il loro contributo. Queste nuove strategie puntano a cambiamenti strutturali in direzione di una de-carbonizzazione dell’economia, di una più incisiva tutela e valorizzazione delle risorse naturali, di una decisa lotta al cambiamento climatico e di un efficace contrasto alle povertà e alle esclusioni.
- LA FOLLA E LA VELOCITA’ vs LA RAREFAZIONE E LA LENTEZZA
Fatta questa premessa, ritornando al tema fondamentale dello sviluppo delle aree e delle città in ritardo, la domanda da porsi è: quali sono le condizioni per garantire che l’adozione del “paradigma della transizione verde” possa essere rigenerativa anche dei territori in debito di sviluppo?
Non è facile dare risposte a questa domanda e non è certamente nostra intenzione dare ricette, ma molto più semplicemente, si vogliono qui richiamare alcune caratteristiche peculiari dell’attuale modello di sviluppo per offrire al dibattito in corso qualche ulteriore spunto di riflessione, anche alla luce della vicenda pandemica che stiamo vivendo con grande apprensione in questi lunghi mesi di lockdown.
Fra i tanti elementi caratterizzanti il modello economico-sociale dominante sviluppatosi nel nostro paese a partire dal secondo dopoguerra del secolo scorso, quello che ha avuto maggiore impatto, rispetto alla questione territoriale che qui stiamo trattando, è certamente la tendenza strutturale alla concentrazione spaziale delle risorse economico e sociali, quale risultante della relazione asimmetrica aree urbane/costiere- aree rurali/interne, che ha visto le prime in una posizione di dominanza assoluta da ogni punto di vista e le seconde subalterne.
Le aree urbane/costiere, infatti, sono state storicamente luoghi di attrazione/concentrazione di attività economiche, di popolazione, di servizi e di infrastrutture. Per gli agenti economici sono state viste come spazi di prossimità al mercato, con buona disponibilità di servizi e di infrastrutture, mentre per i cittadini sono stati i luoghi di occasione di lavoro, dove era più facile intraprendere percorsi di realizzazione personale e di miglioramento della qualità della vita.
Le aree rurali/interne hanno, viceversa, rappresentato l’altra faccia della medaglia, lo spazio da dove si è originato il travaso di risorse umane ed economiche. Un esodo massiccio che ha determinato il quadro di ritardo che oggi rileviamo, caratterizzato da spopolamento, invecchiamento della popolazione, rarefazione di attività economiche, di servizi e di infrastrutture, con un solo settore che rimane a fare da presidio, l’agricoltura, in forme organizzative e di business decisamente nuove rispetto al passato che si configurano come le principali leve per costruire prospettive rigenerative dei territori di riferimento.
Facendo ricorso a uno schema interpretativo semplificato, le aree urbane/costiere, in questo quadro di trasformazioni strutturale dell’economia e della società, hanno trovato il loro iniziale meccanismo di sviluppo virtuoso, distanziando sempre più le altre aree, in un modello centrato su due elementi fondamentali: la folla e la velocità.
La prima ha rappresentato due importanti valori di riferimento:
- economico. La folla ha significato un ampio spazio di mercato, segmenti consistenti di domanda di beni e servizi, che hanno attratto attività economiche, servizi e infrastrutture, facendo delle aree di concentrazione luoghi, a volte identitari, di vitalità economico-sociale;
- politico. La folla è stata, e rimane, anche l’espressione di grandezza del bacino elettorale, il catalizzatore dell’attenzione dei policy maker e, di conseguenza, destinazione prioritaria di policy.
La seconda, la velocità, rappresenta la modalità dominante di misurazione del tempo di realizzazione dei fatti economici, della diffusione della conoscenza e delle innovazioni, delle relazioni sociali e personali. E’ la determinante del “ciclo di vita” delle attività umane in ogni ambito (economico, sociale, relazionale, politico, religioso, ecc..), rendendo ogni acquisizione dell’uomo fluida, instabile e di breve obsolescenza. Essa è stata, così, la spinta propulsiva che ha favorito il rigenerarsi continuo delle domande di mercato, contribuendo alle dinamiche positive dell’economia, alla sua modernizzazione, che ha plasmato la società.
Fenomeni diametralmente opposti hanno, invece, riguardato le aree rurali/interne, le quali sono state relegate dalla storia dell’economia di mercato a un ruolo funzionale al modello di sviluppo appena richiamato, subendo un profondo processo di drenaggio di risorse, che ha lasciato sul campo un contesto territoriale di diffusa rarefazione di processi economici, sociali e politici, con una conseguente generalizzata lentezza nelle dinamiche evolutive delle economie e delle comunità territoriali, da cui i ritardi oggi rilevati dalle statistiche. Ritardi che sembrano irrisolvibili nell’ambito della cornice di riferimento del modello fin qui descritto.
Il modello di sviluppo territoriale dominante trova, quindi, una sua rappresentazione plastica nella polarizzazione territoriale tra folla e rarefazione, tra velocità e lentezza.
- UN POSSIBILE CAMBIO DI PROSPETTIVA
Dopo decenni di crescita senza limiti, guidata dallo sfruttamento intenso delle risorse naturali, in cui la folla e la velocità hanno rappresentato le due principali fonti generatrici di valore, portando al dominio dello spazio urbano/costiero, oggi quelle stesse due fonti di crescita (folla e velocità) possono essere annoverate tra le cause determinati dei principali fattori di insostenibilità del modello di economia e di società dominante.
La folla, intesa in una accezione ampia anche come concentrazione di attività, infatti, è sicuramente la causa scatenante di tante forme di insostenibilità. L’esplosione dei rifiuti, degli sprechi alimentari, delle emissioni di CO2 in atmosfera, degli inquinamenti acustici, delle malattie epigenetiche, delle congestioni nella mobilità, dei disagi conseguenti allo squilibrio offerta e domanda di lavoro nei contesti urbani sono tutti fattori di crisi riconducibili al modello di concentrazione e della folla. In questo quadro di mutamenti strutturali di prospettiva, la velocità, alimentata anche dalla rivoluzione digitale, ha dato il colpo di grazia definitivo, rendendo la fluidità la categoria dominante di ogni forma relazionale (economica, sociale, personale), generando instabilità, incertezze, paure, fonte di una pandemia ben più preoccupante, quella dei disagi sociali e personali con conseguenza anche sul sistema sanitario, fenomeni diffusi prevalentemente nelle aree urbane/costiere.
La pandemia da covid-19 sta dando una spallata definitiva al modello dominante.
La folla e la velocità, come stiamo sperimentando in questo tempo di scrittura del presente testo, rappresentano i terreni di coltura prediletti del virus, i veicoli del contagio e della sua diffusione. Le politiche di contenimento, infatti, basate sul distanziamento sociale e sullo stare a casa altro non sono che il contrario della folla (assembramento) e della velocità (stare a casa significa stare fermi, non muoversi). L’uomo, quindi, attuando il suo modello economico di concentrazione e di sfruttamento illimitato delle risorse ha, da un lato, distrutto molti habitat naturali da cui hanno avuto origine il salto di specie del virus covid-19 e, dall’altro, ha creato le condizioni (folla e velocità del modello urbano-centrico) per una sua diffusione pandemica.
Così, nel volgere di un paio di decenni, e con l’esplosione della pandemia da covid-19, la folla e la velocità da motori dello sviluppo urbano/costiero sono diventate cause di insostenibilità e di stili di vita alienanti, da cui originano il malessere e i disagi della “modernità”.
Questi sostanziali cambiamenti di scenario hanno fatto maturare nei cittadini nuove sensibilità, rispetto ai temi dell’ambiente e della sua relazione con la salute, delle emissioni in atmosfera e dei cambiamenti climatici, del rapporto alimentazione e salute sempre più condizionati negativamente dalla velocità caratterizzante gli stili di vita, dell’esclusione sociale, delle tante e diversificate forme di inquinamento associate alla concentrazione (folla), della necessità di spazi di socializzazione lenta e di vivibilità, ecc.. In sostanza, è venuta maturando in questa fase di “modernità” e di “rivoluzione veloce” la consapevolezza che i fattori, una volta di successo, la folla e la velocità, si siano trasformati in fonti di alienazione e di disagi e che il benessere e la qualità della vita hanno bisogno di spazi ampi e sicuri, di risorse naturali pulite, di lentezza relazionale e di resilienza. Una maturazione che improvvisamente ha inondato di luce nuova le aree neglette del vecchio modello, le escluse, le aree rurali/interne: aree che da “non luoghi”, da cui scappare, si trasformano, in questa nuova prospettiva, in spazi di opportunità, in “luoghi identitari” in cui diventa possibile per le comunità territoriali costruire economie locali generatrici di valori materiali e immateriali, orientate al benessere e alla qualità della vita.
L’esplosione di domanda di qualità della vita nelle aree urbane/costiere può, quindi, trovare risposte nelle aree rurali/interne. Un cambio di prospettiva nella relazione urbano-rurale che possiamo definire epocale, che, tuttavia, come capiremo più avanti appare di non facile realizzazione.
Le aree rurali/interne presentano oggi, in teoria, tutte le caratteristiche per rispondere alle nuove domande della società. Ci sono state molte trasformazioni economico-sociali nel settore economico prevalente in queste realtà, l’agricoltura, che ha contribuito a modellare i territori di riferimento secondo una caratterizzazione coerente con le nuove domande. Questo settore ha interpretato, e sta interpretando, la modernità seguendo quattro linee di evoluzione strutturale e organizzativa:
- diversificazione produttiva, aprendo l’azienda a nuove attività connesse a quella primaria, quali l’agriturismo, la trasformazione e la vendita diretta, i farmer markets, che avvicinano i cittadini urbani/costieri ai mondi e alle tradizioni contadine, alla matrice culturale fondativa della nostra modernità;
- differenziazione produttiva, in direzione di un significativo rafforzamento del legame dei prodotti con i territori di produzione (Denominazioni di origine); prodotti che incorporano culture, tradizione e saperi informali, specifici dei territori di origine, verso cui è crescente l’attenzione dei cittadini, a volte anche come destinazioni di nuove forme di turismo;
- multifunzionalità, derivante da modelli di agricoltura e di zootecnia estensivi (basso impiego di imput), generatrici di esternalità positive quali ambiente sano, risorse naturali pulite, bellezze paesaggistiche, tutela della biodiversità, inclusione sociale, ecc… Un insieme di “beni comuni”, caratterizzanti la nuova agricoltura, molto apprezzato dai cittadini ma non valorizzato da un adeguato riconoscimento di mercato e per questo sostenuto dalla politica agricola comune (attraverso lo strumento dei pagamenti diretti);
- trasformazione tecnologica, aprendo la strada ad un’organizzazione più efficiente delle attività aziendale in direzione di una migliore qualità della vita e alla possibilità di collegarsi ai mercati internazionali.
Aree rurali/interne che si sono trasformate da luoghi solo di produzione ad anche spazi di consumo e di fruizione, e che presentano oggi ampie potenzialità per dare risposte alla domanda di benessere e di qualità della vita dei cittadini. Potenzialità che, tuttavia, non sembrano ancora trovare forme concrete di realizzazione, visto l’ampliarsi della forbice dei ritardi come evidenziano le statistiche ufficiali. Segno evidente che la strada da percorrere per realizzare questa nuova prospettiva è ancora lunga e tortuosa. Ci sono in sostanza molte condizioni necessarie ma tuttavia non sufficienti per arrivare a un riequilibrio sostanziale tra lo sviluppo delle due realtà territoriali in questione.
La pandemia dà un’ulteriore spinta a favore della centralità delle aree rurali/interne, nella misura in cui spazi ampi (distanziamento) e lentezza (ritardo del contagio) diventano elementi strutturali per contenere attacchi virali da salto di specie che, probabilmente, lo sviluppo, basato su modelli estensivi di produzione, di queste realtà territoriali potrebbe contribuire a contrastare.
Il quadro che osserviamo oggi, alla luce di quanto fin qui richiamato, vede le aree urbano/costiere trasformarsi in “poli territoriali di fragilità” mentre le aree rurali/interne in “poli territoriali di sicurezza e di qualità della vita”.
- VERSO UNA NUOVA VISIONE DI ECONOMIA
Nel descrivere la nuova prospettiva per le aree rurali/interne si fa riferimento in modo ricorrente al fatto che si tratta di una potenzialità, di un percorso possibile, stante le nuove sensibilità dei cittadini che si concretizzano in nuove domande rivolte proprio a queste aree. Nonostante la consistenza delle nuove domande latenti di ruralità, questa opzione di sviluppo stenta a prendere corpo in maniera efficace e diffusa. Troviamo, infatti, certamente realtà aziendali e territoriali di successo che si sono rigenerate per offrire servizi moderni, ma non possiamo ancora parlare di modello diffuso e organizzato per rispondere alle nuove domande dei cittadini.
Le domande da porsi sono allora le seguenti due:
1) perché, nonostante questa fiorente prospettiva, questa forte sensibilità alla ruralità, espressa sotto forma di richiesta di prodotti di origine, di nuovi turismi e di residenzialità, i territori interessati non riescono a giovarne fino in fondo?
2) perché, nonostante siamo giunti a ben cinque fasi di programmazione dello sviluppo rurale, nelle quali sono stati messi in campo strumenti di policy e risorse per rivitalizzare le economie e le comunità rurali, le disparità territoriali aumentano invece che diminuire?
La risposta a questi interrogativi trova ragione proprio nel “paradigma della folla”, in precedenza descritto. Nel nostro paese è stata da sempre portata avanti una linea strategica che ha assegnato, e assegna, lo sviluppo delle aree rurali/interne alla sola sfera di dominio del FEASR (Fondo Europeo per l’Agricoltura e lo Sviluppo Rurale), assegnando, invece, al ben più ricco FESR (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale) e al FSE (Fondo Sociale Europeo) la responsabilità di agire quasi esclusivamente a favore dello sviluppo delle aree urbane/costiere, ovvero dei luoghi della folla e dell’ampiezza del bacino elettorale. Così facendo, non potendo il FEASR intervenire sullo sviluppo e il miglioramento delle condizioni di contesto (insediamento e potenziamento del tessuto produttivo non agricolo, infrastrutturazione del territorio, dotazione di servizi alle persone e alle imprese, potenziamento del capitale sociale e della capcaity building, ecc…), sono state molto scarse e poco efficaci le politiche economiche generali che avrebbero dovuto colmare i ritardi con il resto del territorio costiero. Tutto ciò che ricadeva, e ricade, nelle aree rurali/interne è stato visto di competenza quasi esclusiva della politica di sviluppo rurale, senza tener conto che questa ha strumenti che consentono di agire solo sulla sfera agricola e su aspetti territoriali connessi, ma non certamente sulle variabili di contesto. Si è trattata di una visione miope, che ha privilegiato esclusivamente la folla (ma non è l’unica politica che ha operato in questo modo), lasciando irrisolti i vincoli strutturali di queste aree, causati peraltro proprio dalla logica urbano-centrica portata avanti dal dopoguerra ad oggi. Così ci troviamo, oggi, di fronte a un modello in crisi strutturale (il modello della folla e della velocità) che non può essere riequilibrato e compensato da dinamiche positive di altri modelli territoriali (il modello della rarefazione e della lentezza), perché questi ultimi sono stati lasciati senza politiche strategiche di contesto. Ecco perché possiamo parlare di potenzialità e di azioni da fare nel medio lungo periodo per trasformarle in concrete opzioni di sviluppo.
La concentrazione/polarizzazione territoriale dello sviluppo pare, quindi, arrivata al capolinea e siccome non si è investito sui territori altri dall’urbano non appaiono all’orizzonte tempestive vie di uscita dal fallimento. Non è più ragionevole continuare su un modello che vede concentrare le risorse e le policy in aree dove la congestione rappresenta il principale vincolo allo sviluppo. E’necessario decongestionare queste aree spostando l’attenzione e le policy nelle aree della rarefazione. In altri termini, bisogna puntare con decisione al superamento del “modello della concentrazione” a favore di un “modello distribuito” ovvero dalla polarizzazione al policentrismo.
Si tratta di una rivoluzione politico-culturale, di medio-lungo periodo, non più rinviabile. Una politica che ripercorra all’incontrario, almeno parzialmente, i processi di esodo degli ultimi settant’anni, spostando attività economiche, servizi, infrastrutture e popolazione dalle aree della folla a quelle della rarefazione, in modo da decongestionare le prime, avviandole a una migliore qualità della vita, e da potenziare le seconde, trasformando le potenzialità in azioni concrete di sviluppo. Un modello policentrico portatore di benefici per entrambe le realtà territoriali. Ma questo diventa possibile se si supera la logica del “bacino elettorale” per andare in direzione di una sostenibilità complessiva e multidimensionale dello sviluppo, da cui potrebbe derivare un consenso più ampio, di sistema e, quindi, di contrasto ai diffusi rigurgiti populisti che minano le basi della nostra democrazia.
Come è stato detto si tratta di una rivoluzione prima culturale e poi politica. Ma per questo tipo di rivoluzioni la molla fondamentale è rappresentata dalla consapevolezza dei problemi e da una visione moderna e sostenibile della politica, intesa come azione a servizio della società e dei territori che la società stessa abita. Al punto di non ritorno a cui siamo giunti, le condizioni per un cambiamento di visione come quello appena evocato sembrano esserci abbastanza. Come è stato già richiamato, infatti, è molto cresciuta la sensibilità dei cittadini verso i temi dello sviluppo, è maturata in essi una significativa coscienza critica e responsabile, per cui la prospettiva di poter cambiare gli scenari non sembra più un’utopia.
- AltraBenevento è possibile – Senso Civico e la Coalizione ArCO
Molti obiettivi di innovazione sociale e politica sono oggi più a portata di mano grazie al diffondersi dell’impegno civico dei cittadini, stanchi della stagnazione culturale e politica in cui sembra essersi assopito il paese. Grazie all’associazionismo civico e all’azione portata avanti dalle organizzazioni del terzo settore, le nuove sensibilità in tema di sviluppo si vanno organizzando in domanda esplicita di policy a favore della persona e delle comunità locali sostenibili.
In questo quadro di lavoro dal basso, si colloca l’esperienza maturata in questi mesi da CIVICO 22, un confronto partecipato di cittadini che ha costruito una precisa piattaforma di sensibilità (position paper), trasformandola in concreta domanda di cambiamento e di policy, che rispecchia i bisogni reali dei cittadini. “AltraBenevento è possibile – Senso civico” si configura, così, come un vero e proprio “Gruppo di Acquisto Politico (GAP)” ovvero come organizzazione volontaria di cittadini capace di formulare domande e proposte, orientate a risolvere i problemi reali della città e del territorio.
L’esperienza di “AltraBenevento è possibile – Senso civico” e della coalizione ArCo assume, pertanto, una valenza pedagogica, educativa e di orientamento delle sensibilità dei cittadini verso i valori fondanti di un nuovo modello di comunità, un nuovo modo di essere cittadini che fa della partecipazione, della condivisione, della sostenibilità, del valore della persona e del NOI i valori fondanti di comunità territoriali sostenibili e responsabili, generatrici di valori.
Il lavoro di “AltraBenevento è possibile – Senso civico” e della coalizione ArCo può essere di grande aiuto per gli attori del territorio per far maturare la consapevolezza delle potenzialità delle nostre comunità locali, la consapevolezza dell’importante «portafoglio di valori», materiali e immateriali, di cui le nostre Comunità sono portatrici. Può contribuire, infine, a contaminare positivamente la cultura e la politica locali, in modo da essere pronti a cogliere le prospettive offerte dai nuovi scenari di sviluppo post-covid-19.
Contributo numero 3. La Benevento della coalizione ArCo: Andare velocemente verso una città lenta, verde ed inclusiva
I contributi arrivati ai laboratori di Civico22, le denunce e le proposte di AltraBenevento, le proposte di una politica OneHealth di EuropaVerde, le sollecitazioni puntuali e profonde di Per, Per le persone e le Comunità, le storiche battaglie dei 5Stelle di questa città, sono i pilastri della nostra proposta politica, del nostro sogno per Benevento.
Quale è questo sogno in sintesi? Leggendo tutti i contributi si compone davanti a noi un’immagine plastica ed apparentemente paradossale delle direttrici dello sviluppo che molti beneventani sognano per la loro città: non essere più esclusi e marginali rispetto allo sviluppo economico e turistico della Regione e del Sud Italia, essere collegati con infrastrutture più veloci e più moderne al Paese e contemporaneamente non seguire il mainstreaming dei modelli di sviluppo liberisti e della cementificazione selvaggia delle città, ma investire su una mobilità lenta e sostenibile, che favorisca il “passo d’uomo”, che riprenda il verde della città e delle contrade per farlo diventare asset principale della nostra qualità di vita, che investa sulla lentezza inclusiva, cercando una più ampia forma di distribuzione della ricchezza in città, a partire dal sistema degli affidamenti locali e dalla promozione delle reti di auto-mutuo-aiuto e del welfare di prossimità.
Essere più veloci e più lenti contemporaneamente, senza risolvere la contraddizione pendendo verso l’una o l’altra delle dimensioni, ma attraversando il confine per perseguire ed includere entrambe queste ambizioni in un modello di sviluppo che metta al centro l’uomo, la donna e l’ambiente e che prenda in carico l’arretratezza del nostro sviluppo economico portandoci verso una crescita possibile, non solo economica, ma anche demografica, culturale, sociale.
Benevento può essere ultimo residuo della globalizzazione, uno dei tanti place left behind ( luoghi lasciati indietro) dal capitalismo globale, marginale e tendente alla sparizione in favore delle grandi metropoli, oppure diventare un laboratorio europeo del benvivere, della green economy, dell’economia civile, dell’economia circolare, del welfare di prossimità, dell’ecologia integrale, il centro di una vera e propria rivoluzione che parte dal Sud e dalla forza dei nostri legami sociali. Gli attivisti di ArCi hanno disegnato una nuova città parlando di questa rivoluzione, una rivoluzione gentile e verde, laica e religiosa, culturale e sociale, politica e civica, che anche se dovesse vincere le elezioni continuerebbe a chiedere l’impegno di tutte e tutti per una progettazione continuamente partecipata della città che verrà.
Angelo Moretti
candidato Sindaco per la Coalizione ArCo – Artefici di Comunità